di Emilio Gabrielli, Presidente dell’Associazione
La memoria per come è comunemente intesa oggi non esiste più, è un fatto raro
C’è, sottotraccia, una sorta di rigetto nei confronti di un rimescolamento di fenomeni che si sovrappongono e si confondono tra loro, tra mondo vegetale, animale, umano e mondo tecnologico. Tutto diventa di difficile controllo ed analisi e la pandemia ha ulteriormente messo questo in evidenza. Tutto si blocca e si va a tentoni. Il virus attuale è un esempio sotto gli occhi di ciascuno. La memoria sembra congelata e non più forza propulsiva per il cammino umano. Per ripristinare e far ripartire le relazioni bisogna andare lontani tra persone e con uno zaino semplice e povero riconoscere e meditare sui vari volti.
“Ogni uomo e ogni donna purtroppo si ritrovano a vivere, seppure in maniera diversa, come nuovi schiavi, oppressi da uno zaino ricolmo di attrezzi tutti dedicati a non far cogliere la propria finitezza umana, ma anche a far chiudere la finestra della libertà interiore. È importante svuotare o almeno alleggerire quello zaino, per potersi riconnettere con la storia che per millenni ci ha preceduto e che tuttora ci sostiene. È importante che ciascuno ritorni a comprendere la forza della memoria dei padri e delle madri lontane nel tempo. È importante non ridurre il tempo umano ai cambiamenti che le mutazioni tecnologiche proiettano sulla visione antropologica fino al possibile soccombere dell’umano al tecnologico.” (E. Gabrielli, La Terra è del futuro, p. 76)
Il volto dell’umano
Mentre riteniamo per un verso che il distanziamento tra persone e l’uso della mascherina sono fondamentali per liberarsi e rendere nulla l’azione del virus e quindi il suo esistere, dall’altro queste condizioni risultano lesive nei confronti del popolo, a molti sembrando favorire lo scivolamento verso forme politiche dittatoriali senza risolvere alcunché… tanto è vero che bisogna, ad ogni svolta di stagione, sottoporre sempre più tutta la popolazione all’uso di vaccini e di medicinali. E ogni cittadino in cuor suo si domanda: rimarrò lo stesso? E quando mai potrò saperlo? Le relazioni saranno le stesse? Il mio popolo e le sue caratteristiche conosceranno criticità mai immaginate? La capacità di generare sarà più problematica? Domande a valanghe… risposte a balbettio. Forse la soluzione non sta principalmente nel distanziamento, ma in una seminagione dell’ “umano” in campagna, con il ritorno alla terra e la conseguente riduzione delle città?
Certamente, in tutte queste restrizioni si è ulteriormente limitata la libertà dei voli, nella capacità di relazione sociale e personale. E’ necessario far riemergere la dinamica dei volti (Lévinas).
Le città non sono più luoghi di popolo, ma masse di energie non più controllabili da progetti comuni interiorizzati. Ci si continua a stare, pur controvoglia, per essere pronti ad afferrare il denaro nella sua corsa folle e irrazionale, generata da un gioco in borsa sempre più invasivo e sempre più vuoto. È il buio delle prospettive future che trattiene a rimanere a vivere, come in apnea, in città. E la controprova sta nell’esodo di fine settimana o estivo per uscire dalla prigione che la città rappresenta per i suoi cittadini. Che non sia questa esperienza di esodo faticoso, settimanalmente ripetuto, la spinta ad un cambiamento epocale che va compreso, interpretato e incanalato? Che non sia questa esperienza una invocazione giubilare per tornare a vivere da umani con altre visioni, altri orizzonti, altri ritmi? (La Terra è del futuro, p. 108)
La scrittura
Oltre il volto questa lacerata umanità sta abbandonando la scrittura a mano che partendo dal profondo di sé, contenuti a parte, esprimeva e rivelava uno stato d’animo e di salute, un giudizio, un programma di vita, difficilmente recuperabile.
Dalle mani veniva offerto, attraverso la grafia, un mondo plurale, più di miliardi di tentativi elettronici che non potranno mai eguagliare le capacità e la bellezza delle dita delle mani.
E’ urgente che i bambini di tutto il mondo imparino a scrivere con le mani i propri pensieri, personalizzando nella forma e nei contenuti il proprio messaggio… ma soprattutto che imparino a decifrare messaggi storici che provengono da una umanità “metastorica”.
Riprendiamoci la vita che soggiace negli scritti degli antenati greci o dei codici miniati monastici e rifondiamo su di essi una nuova democrazia popolare europea, riportando in auge figure eccelse come Gregorio Magno o Benedetto di Norcia, patrono d’Europa.
Chi ha avuto la possibilità di leggere il mio libro, ha avuto la fortuna di incontrare un’umanità veramente libera dal profondo della storia, che può, senza tema di smentita, essere inverata.
La Regola [di San Benedetto], sperimentata, portò lungo i secoli alla creazione di monasteri dove la vita non fosse più dominata dalla paura ma dalla speranza. Speranza fondata sulla capacità ritrovata di darsi un universo di senso attraverso un movimento culturale che trovava la sua sintesi negli imperativi lege, medita, ora et labora. Dove il lavoro non era più un peso, ma il luogo dove dimostrare a sé e agli altri la bellezza della coesione raggiunta, che si concretizzava nella creazione di dimore che facevano respirare il divino con le stupende chiese splendenti di spiritualità condivise, cori e chiostri che invitavano alla sincerità profonda nello sguardo reciproco, refettori dove il mangiare era benedizione, scriptoria che davano, attraverso la copiatura miniata di manoscritti, vita eterna allo svolgersi dell’uomo nel tempo. La situazione oggi dell’habitat umano, sia delle città che delle campagne, soprattutto per i guai che nasconde, è peggiore di quello dei cosiddetti “secoli bui” del medioevo. (La Terra è del futuro, p. 183