di Emilio Gabrielli, Presidente della Scuola

Dalla “Scuola di memoria storica del Piceno” …

Dopo anni di esperienza ed in seguito ai cambiamenti culturali in atto nella nostra società che hanno spesso equivocato sulla giusta esigenza di ricerca delle proprie radici personali e comunitarie riducendo la storiografia locale a operazione vuotamente campanilistiche, slegata dai fenomeni più ampi ed universali, la Scuola di memoria storica del Piceno sente il bisogno di rivedere i suoi obiettivi e i suoi metodi e, conseguentemente, le sue norme statutarie

…alla ricerca dell’unità dell’esperienza umana

La Scuola, innanzi tutto, è convinta che la ricerca dell’unità dell’esperienza  umana, pur nella  infinita pluralità delle forme contingenti di esprimersi, sia uno dei compiti fondamentali e primari della storiografia oggi.

La memoria storica che soggiace ad ogni buona storiografia può diventare la miniera sorprendente di energia per l’oggi contribuendo a precisare mete e percorsi originali per raggiungerle.

La connessione tecnologica a livello planetario, la cosiddetta rete, non può attardarsi a rimanere neutrale, non è nella sua natura… Per non involversi a diventare una globale e stritolante prigione ha bisogno di essere  ordinata a servizio di un cammino verso un grande e vitale abbraccio universale che non investa solo l’umano ma in esso e con esso la intera realtà cosmica.

Perché questo possa avvenire è necessaria una corsa interiore da parte di ciascun essere umano a riconoscere ciascun’altro e la sua storia facendosi pane e nutrimento gli uni degli altri.

E’ questa l’unica utopia da ritenere possibile la cui tensione può sbarrare il passo alla disgregazione dell’umano già in atto, sia nelle storie personali che in quelle sociali e politiche. Basta riflettere sulle politiche migratorie per rendersi conto che è già in atto la lotta tra l’utopia dell’unità e la disgregazione interiore di persone che rifiutando l’incontro con l’emigrante rifiuta sé stesso e per darsi una parvenza di vita esprime la semplice forza bruta che tutto rende insicuro proprio perché è insicuro il rapporto con la vita e quindi con sé stessi.

Fare unità, comporre le differenze in unità superiori, più piene, è la strada da percorrere a qualsiasi livello. Da dove iniziare?

Innanzitutto da se stessi ricomponendosi in unità ogni giorno; non è automatico, è il frutto di un lavorio interiore che varia ogni giorno perché ciascuno ha, quotidianamente, un corpo diverso, ha incontri diversi e vive situazioni nuove.

E il tutto avviene mentre il nostro corpo si muove insieme a tutti i commensali di umanità… e la direzione dei propri passi fa parte della strategia della costruzione non solo della propria unità ma anche di quella della comunità che si preoccupa di dare a tutti i suoi membri i beni primari e i servizi per la  crescita di cui hanno bisogno. Comunità che esprime la propria unità quanto più tempo ciascuno dedica alla propria realtà sociale primaria. L’unità ha bisogno di una certa stabilità di presenza in maniera che i volti che si incontrano diano serenità e pace. La comunità non è un supermercato, ma una moltitudine di persone.

Più si amplia il cammino relazionale più si ampliano gli orizzonti fisici e popolari con cui costruire una sempre ulteriore unità che procura crescita, forza fisica e spirituale che fa intravvedere ulteriori orizzonti di unità da costruire con altri, prima sconosciuti… e la vita si amplifica e si universalizza. Dal proprio Comune di appartenenza si passa alla propria regione; i confini si allargano e ci si sente come portati da un sacro fuoco a voler conoscere e impegnarsi unitariamente con chi è al di là dei confini nazionali.

L’Europa nostra patria comune

E si riaffaccia l’Europa nostra patria comune tante volte agognata e altrettante volte tradita lungo i millenni. Agli spiriti migliori di questa millenaria storia la “nazione” è apparsa antistorica ed eresiarca, portatrice cioè di un vulnus mortale. Aprendo con Schengen la grande prateria europea pensavamo che la libertà di circolazione portasse a riconoscerci sempre più concittadini e invece sembra che le risorse pubbliche debbano servire a costruire muri anche fisici di separazione invitando, ogni Stato, a riconoscere per primi i propri concittadini al di qua del muro e a rimirare con nostalgia l’infinito reticolo di confini di staterelli lillipuziani ritardando all’infinito la nascita dell’uomo (uomo e donna) universale diventato finalmente persona. Sì, perché la persona è veramente persona quando ad un tempo essa è sentita accolta con pari trasporto dall’altra e da ogni altra e, soprattutto (ciò che la redime da ogni possibile inimicizia), quando è capace del medesimo e reciproco trasporto.

Se l’Europa si tradisce rinchiudendosi nei propri egoismi nazionali e personali non nuoce solo a sé stessa ma a tutti i popoli del mondo perché per la loro propria storia i popoli europei (vedi il colonialismo) hanno avuto la possibilità di vivere in simbiosi con tutti i popoli della terra e questi di relazionarsi con l’universalità che i popoli dell’Europa rappresentavano. Il più spesso in maniera indegna e violenta che richiede dall’Europa una richiesta di chiaroveggente perdono.

Se il mondo non è unito nella pace operosa e si smarrisce in sede Onu, soprattutto nelle problematiche ambientali, a lavorare per l’unità del genere umano è a causa dell’attardarsi dell’Europa nelle chiusure nazionali.

E’ ora, e l’ora è questa, che si sciolgano, via via come neve al sole le nazioni e i confini nazionali, radicando contemporaneamente afflati profondi di europeismo costruendo con arte, ad un tempo, sentieri, strade e autostrade perché ciascun di noi diventi un Giovanni Battista che si metta a predicare,  con le azioni e con la parola, la conversione europea che sta nel fare di tante nazioni una sola nazione aperta all’universo dei tanti popoli che l’abitano e l’abiteranno.

Popoli che via via si purificheranno dalla violenza secolare accumulata dalla pervicacia con cui, i popoli, si sono tenuti se non divisi certamente separati. E l’unico che trionferà sarà il Principe della Pace che saprà ricomporre sempre i molti popoli diversi in Unità. Sarà l’anelito alla dinamica della Pace creatrice che i tanti popoli, liberatisi dai bozzoli esiziali degli stati nazionali, lungi dal rinnegarsi si rinnoveranno con la linfa nuova data dall’incontro aperto con tutti gli altri. Nessun popolo europeo si perderà, anzi brillerà di luce nuova man mano che ciascuno vivrà la fraternità e la sororità europea.

Fraternità e sororità europea che spingerà ogni cittadino di questa nuova e amplissima nazione, a pensare che quei nuovi e allargati confini sono per rendere sicuri i cammini per più ampi confini futuri. E’ importante che si capisca che il cammino verso l’unità non è statico ma dinamico e mai esaustivo perché la forza che soggiace al principio necessario dell’unità stessa sta nella GIUSTIZIA universale  fraterna e sororale.

Se un testimone va ripreso e rilanciato rispetto ai tanti passi fatti dall’Europa verso il perseguimento dell’unità esso sta, non certamente in quello della ricca abbondanza e dei ricchi commerci che ha ricomposto su parametri diversi vecchie divisioni e ancor più vecchie chiusure, ma in quello di suscitare e formare, donne e uomini giusti. E il linguaggio della giustizia si radica in quello della Verità; diceva il Rabbi di Nazareth il vostro parlare sia netto e chiaro Si se è si, no se è no… ma soprattutto affermava, di fronte alla sfacciata ricchezza, che non si può servire a due padroni: contemporaneamente, al Dio della giustizia, della misericordia, della verità e al diavolo divisore della ricchezza, del denaro e del potere.

Minatori storiografici di energie per costruire più Europa

L’unità dissetante di un popolo e soprattutto di più popoli in cammino unitario ha bisogno di indefinibile e abbondantissima energia che non potrà essere una sola generazione ad accumulare, soprattutto se nei suoi primi passi, si è totalmente appiattita sul consumare per tenere in piedi una qualche economia. Lo spettro del più avvertito ambientalismo ci dice che con questa cultura si va tutti a sbattere e che quel cammino europeo già percorso rischia la paralisi e il dissesto.

Noi abbiamo bisogno di tanta energia unitiva per salvarci. Per trovarla occorre spogliarci di tutto ciò che ingombra la nostra vita, annebbia la nostra vista sia esteriore che interiore, disperde i nostri passi e ci conduce inevitabilmente verso l’abisso e il non senso…; occorre, in una parola diventare sobri. Sopra dicevamo che occorre suscitare e formare  donne e uomini giusti, ora diciamo che la strada per arrivare alla giustizia occorre rinvenirla nella pratica della sobrietà condivisa. Sobrietà condivisa che aiuta a smorzare le difficoltà di relazione sia personali che sociali. E soprattutto ci dice che da soli e con gli sforzi della nostra sola generazione si rimane sempre nello stesso punto. I piedi rimangono come incollati a terra…tutto rimane fermo anche se ci sembra di essere in un infinito movimento, purtroppo, senza senso e prospettiva.

Il nostro futuro europeo e le energie necessarie per intravvederlo in pienezza e iniziare a costruirne percorribili sentieri sta, per il novantanove per cento, nel  passato della storia del nostro continente dai suoi  albori ai nostri giorni; magari scopriremo che  germogli vitali per la  nostra storia europea sono giunti fino a noi  da luoghi molto lontani dalla realtà europea le cui persone, da lì oggi provenienti non, vogliamo incontrare.

Se, dunque, le energie per costruire il futuro dell’unità europea sta nella storia del nostro passato, se coloro che hanno profondamente vissuto l’utopia di un’Europa unita e, contemporaneamente, aperta all’universale, sono vissuti in tempi e modi diversi dobbiamo per forza di cose metterci tutti in contatto con loro, farli riemergere e insieme a loro farci minatori storiografici per recuperare le energie necessarie. Per diventare europei giusti e sobri occorre un lavorio interiore. Bisogna convincerci ad andare a scuola di una spiritualità incarnata lungo secoli.

In ultima analisi occorre realizzare una Scuola di Memoria Storica Europea che vada per tutta “Europa” in ogni benché minima Comunità a “cercare Europa” e ripartire, in una circolarità spazio/temporale inesausta, per offrire a tutti i cittadini europei radici rigogliose esperite da ogni angolo di questa immensa e nuova nazione a vocazione universale.

Con queste finalità sovraesposte tutto quanto realizzato dalla Scuola di Memoria storica del Piceno dall’atto della sua fondazione (1984) alla sua sospensione (2002) acquista la sua giusta valorizzazione. Fa fede  suppletiva di questo impegno  di investigazione europea la fondazione (fine anni ‘80), da parte della Scuola di Memoria Storica del Piceno, a Santa Vittoria in Matenano (A.P.) del Centro studi Farfense per lo Studio del movimento monastico/imperiale, di cui fu primo presidente il compianto prof. Vito Fumagalli. Centro che di conseguenza entra a pieno titolo, trovandovi il suo logico sviluppo, a far parte della Scuola di Memoria Storica Europea,

Cambia la residenza perché fin dal 1989 sia l’ideatore dell’iniziativa, piceno di origine, Emilio Gabrielli che Il Segno dei Gabrielli editori sotto la cui egida l’iniziativa si avviò e che ora riattivano, risiedono in Valpolicella in Via Cengia 67, 37029 San Pietro in Cariano (VR) in una sede con servizi congrui e stabili.

Per rigenerare l’Europa la costituzione della Capitale europea dell’educazione del cuore e della bellezza

La Scuola ha anche ben chiaro che i nostri popoli europei sono come spiritualmente malati di individualismo e di solitudine che cercano di compensare il faticoso vuoto interiore con il possesso e il desiderio delle cose e delle sicurezze economiche comunicandosi, di conseguenza, reciprocamente, paure, ansie e forme di autodifesa per lo più violenta. C’è bisogno quindi di territori dove sia possibile realizzare ospedali da campo per la rigenerazione complessiva delle persone e delle comunità.

Un territorio che rappresenta come un serbatoio di energie spirituali e di memorie strutturali di convivenza di altissima risonanza curativa si trova nell’Italia centrale, La “geografia” da cui si parte per farci guardare storicamente all’Europa e  farci riguardare dall’Europa saranno le Regioni della Toscana, dell’Umbria, delle Marche, del Lazio e dell’Abruzzo. Da questi luoghi partono da millenni  messaggi e cure da parte di persone di alto spessore come Francesco e Chiara di Assisi, come Benedetto e Scolastica, senza dimenticare Gregorio Magno e Dante. Ma anche, e vicinissimi, a noi personaggi come don Nascimbeni con la sua opera Madonnina del Grappa, don Milani con la sua scuola di Barbiana, Padre Turoldo, Benedetto Calati con il rinnovato monastero di Camaldoli, il Sindaco di Firenze Giorgio La Pira con i famosi incontri del Mediterraneo, don Zeno Saltini e la sua Nomadelfia dove la fraternita è legge.

Sono tutte queste persone che hanno sostanzialmente contribuito a non far perdere la memoria del cittadino universale Gesù di Nazareth, di cui l’Europa contemporanea ha bisogno. Si tratta di permettergli di uscire dalle prigioni costruite dagli uomini e ridargli dignità e rispetto per la riconquistata laicità.

Tali persone, aiutati dagli ambienti modellati al loro spessore di vita,  possono aiutare a comprendere i quattro imperativi monastici della regola di San Benedetto che determinavano non solo i percorsi comunitari (Lege, medita, ora et labora) ma realizzavano un habitat ambientale cheancora scalda culturalmente i popoli europei.

La Comunità Europea si deve impegnare a portare ogni cittadino ad assaporare tale percorso comunitario e a rendersi forte attraverso tale ritmo, con l’augurio che diventi presto stile di vita.

Sarà compito della Scuola di memoria storica europea di costruire campi di ricerca per evidenziare la forza salutare insita in quei quattro imperativi formativi personalmente e comunitariamente.

I popoli europei hanno bisogno di cura dello Spirito. E le strutture europee devono offrire strumenti e risorse adeguate fino alla salvaguardia dei territori sopra indicati magari assurti a capitale europea dell’educazione del cuore e della bellezza.

La Scuola di memoria storica europea si impegnerà a valorizzare l’esperienza monastica e la sua storia come elaboratrice di percorsi di unità e di fraternità tra i popoli. A buon diritto  San Benedetto è stato proclamato patrono dell’Europa per il reticolo di monasteri ciascuno autocefalo rispetto agli altri e nello stesso tempo carichi di solidarietà reciproca.

Per continuare a precisare i luoghi da cui guardare e farsi guardare dall’Europa non possiamo non espandere i nostri sguardi investigativi sugli itinerari delle abbazie imperiali a partire dalla Abbazia imperiale di Santa Maria di Farfa (Rieti) le cui zone di millenaria influenza  quasi si sovrappongono alle zone del cratere dei terremoti degli ultimi anni in quelle zone.

E’ un motivo in più perché l’Europa oltre a determinare la nuova e inedita capitale dello Spirito europeo prenda  sopra di sé l’impegno al ripristino, in tandem con le popolazioni locali,  della geografia dei luoghi. Popolazioni locali rinvigorite da quanti, cittadini nuovi per vocazione, fanno voti di appartenenza agli antichi popoli che hanno coltivato valori di laboriosità, di cultura condivisa, di solidarietà e pace.

La metafora della gola di Volargne e la mediazione italiana per il dialogo tra Europa, Mediterraneo e Negritude

Nel periodo di sospensione dell’attività della scuola nei territori piceni a causa di impegni politici in Valpolicella avemmo modo di riflettere su di un luogo di grandi memorie, più o meno nefasti, più o meno positivi della secolare vita europea: la grande gola di Volargne, poco a monte della città di Verona dove lo sguardo si apre al sud del mondo attraverso la magica pianura padana. Lì il secondo fiume più importante d’Italia, l’Adige, da tempo immemorabile scende a valle, quasi correndo, con tutta la sua ricchezza di acque provenienti dal respiro amplissimo di territori accidentati che lambiscono e ascoltano a pieni polmoni il cuore dell’Europa continentale…qui in questa strettoia  sembrano, le acque, quasi fermarsi e darsi un compito immenso: quello di contribuire a  conoscere e a vivificare tutto il territorio che andranno a lambire con l’impegno a tornare trasformate a dissetare sia fisicamente che culturalmente i popoli là da dove sono partite.  E’ il Mediterraneo che hanno incontrato e in esso la storia universale. L’unità europea è nata lì perché è da lì che ci è arrivato il dono/lievito della nostra umanità: l’alfabeto, il codice di Hammurabi dove il re si dava carico che “il forte non avesse ad opprimere il debole” e poneva la legge “per garantire la giustizia agli oppressi”.

Come è mai possibile, attraverso cattivi pensieri e torbide azioni sovraniste, mettere confini magari a Volargne: è togliere spazio all’acqua e disseccare i fiumi, ma anche disperdere le nubi coprendo di fuoco distese un tempo ubertose,

Mai Europa senza Mediterraneo, mai Europa senza Africa. A perderci è l’Europa e soprattutto l’Italia perché, e non se ne stanno accorgendo, la vecchiaia  fisica e spirituale  sta avviluppando e strozzando senza pietà i loro popoli,

La Scuola di memoria storica europea non può permettere che l’Europa da una parte e il Mediterraneo e l’Africa dall’altra, facciano a meno della mediazione culturale italiana. Natura non facit saltus. E quando ci si intestardisce a farlo  si imboccano strade cieche e pericolose,

Mediazione vuol dire stare sul campo, ringiovanirsi, compromettersi in continuazione, trarre il meglio da sé stessi ed elevare l’altro. Bisogna tornare a farlo.

Per comprendere l’importanza di quanta ricchezza, per l’Europa, risieda  nelle nostre popolazioni e nei nostri territori facciamo la seguente ipotesi: se la Germania fosse il paese in cui tutti gli altri popoli dovessero soggiornare per un qualche tempo per poter imparare a divenire cittadini europei l’Europa si farebbe tedesca; se fosse la Francia si farebbe Gallica, se la Spagna ispanica e così via; solo nell’incontro di tutte le nazioni con l’Italia e i vari modi di essere italiani i popoli diventerebbero autenticamente  europei senza perdere da questo incontro; anzi, ogni proprio valore verrebbe arricchito a dismisura.

E questo perché l’Italia e i popoli dell’Italia, dopo il più che secolare periodo della romanità, hanno vissuto, a partire dalle esperienze medievali, il  creativo periodo storico delle municipalità o dei comuni in cui tutti in varie forme e a vari livelli hanno imparato a divenire popolo dal basso.

Hanno imparato, i vari popoli italiani, soffrendola sulla loro pelle, quell’arte mirabile del dialogo che rende, i popoli, duttili e fermi.

Duttilità e fermezza di cui l’Europa ha bisogno per non chiudersi nella cittadella fortificata dei privilegi e della forza economica, per porsi come obiettivo il dialogo con altre forze e ricchezze umane e culturali (l’est europeo ed asiatico, il medio oriente, il sud africano).

In questo modo si può arrivare quanto prima, proprio partendo da Volargne, a percepire un’unità politica universale che riesca a governare gli eventi tecnici globali e che faccia salvi gli spazi per la crescita delle realtà locali costruendo contemporaneamente gli strumenti per un dialogo tra tutti i rivoli popolari che si andranno sempre più a precisare e a valorizzare.

Ma come da Volargne possiamo partire da ogni angolo sperduto e guardarlo con occhi nuovi, universali, donandole dignità e tenacia per la sua valorizzazione. Il sole è uno e tutti riscalda; così l’occhio universale tutto valorizza.

Valorizzare la musica di ogni angolo europeo per favorire il meticciato culturale.

La Scuola di memoria storica europea sa per esperienza che i popoli attraverso l’esprimersi e il ri-esprimersi   musicalmente precisano la propria identità… occorre mettere in movimento più popoli che attraverso la musica vadano a scavare e a donarsi sentimenti forse mai provati e prospettive di convivenza mai precedentemente evidenziate.

Non si sa a volte come iniziare un dialogo tra persone e tra gruppi al primo impatto; che qualcuno inizi a suonare uno strumento o a cantare sottovoce e il dialogo partirà.

La musica è il movimento dello Spirito che si fa suono per comunicare a sé stessi e agli altri l’inesprimibile che si cela nel profondo dell’essere umano, nel movimento relazionale, più o meno tormentato, più o meno felice, con sé stessi e con gli altri dentro l’orizzonte del passato, del presente e del futuro.


La musica è, allora, memoria profonda, la musica è giudizio, la musica è profezia; il tutto rivestito della grazia della giustizia e dalla forza della bellezza.
La musica, però, quando è codificata e si riproduce, si universalizza, diventando forza creatrice che influenza e indirizza la storia, suscitando nelle persone che partecipano a questa espansione, energie e sentimenti inesplorati. In questo contesto, si sa da dove la musica parte (è quell’autore, è quell’orchestra , è quella sede), ma non si sa dove andrà, dove ci porterà. Suonare una musica o un’altra non è ininfluente per le sorti dell’umanità.


In questa cornice ideale, realizzare eventi musicali o proporre programmi rappresenta una forte assunzione di responsabilità proprio perché segna il futuro di quelle persone e di quelle comunità e di quei luoghi in cui e per cui questi eventi si organizzano.

E  questo è ancor più vero se si cura e si affronta una  sana storiografia musicale incarnata nel vissuto comunitario del momento. Con questa preparazione si può ben dire che una rassegna musicale di e su di un popolo è la via maestra per entrare in empatia con quel popolo,

Se questo è vero proponiamoci come Scuola di memoria storica europea di abbattere dal nostro cuore ogni tentazione di erigere tutti i possibili  muri con la musica.

Ci piace rammentare in questo documento statutario il ventennale impegno

di cultura musicale nelle pievi, nelle ville e corti della Valpolicella e soprattutto gli eventi del 2009 dedicati alla musica russa.


“Possiamo ben dire che attraverso gli eventi di Musica in Villa del 2009 nella cornice delle sorgenti musicali dell’Europa, i fiumi carsici della musica russa abbiano cambiato corso, abbiano attraversato i nostri mondi valpolicellesi e veronesi, ponendoci infiniti interrogativi e chiedendoci di aiutarci vicendevolmente a dare una risposta, sostenuti e confortati da quella energia che la musica stessa, una volta ascoltata, ci ha donato.
Domande e risposte che possiamo scambiarci tra popoli e tra persone in molti modi, non solo musicali, ma anche con le arti figurative, con l’architettura, con la letteratura, tenendo, però, presente che tutto nasce dalla “musicalità dell’Essere e della Vita”… musicalità che ha il suo utero nell’infinito silenzio. Ascoltare musica è fare esercizio di silenzio. Ne abbiamo bisogno.”


Con Musica in Villa 2009 e il suo completamento,  con l’edizione del libro Russia porta dell’Oriente, nel 2011, abbiamo gli strumenti per un più ampio esercizio di questo vivissimo silenzio in compagnia della musica. Volume, insieme a tanti altri, che entra a buon diritto nel patrimonio della Scuola di memoria storica europea.

La sfida di un’ultima urgenza: la lingua comune

Una delle cause dei sospetti reciproci tra i popoli europei e il risorgere dei sovranismi nazionalistici sta in un lungo sonno operativo  della Comunità Europea per la soluzione del dialogo linguistico.

Sappiamo bene che per ben dialogare occorre una lingua comune che riesca a comunicare le venature più profonde dei sentimenti umani e quindi poter comunicare i bisogni più veri della persona, delle famiglie  dei gruppi sociali. Già l’essere compresi nei propri bisogni rasserena l’esistenza e avvicina il soddisfacimento di essi. E’ questo il compito della lingua materna. Più è prospera la lingua materna più sono prospere e soddisfacenti le relazioni culturali, umane, politiche, sociali ed economiche.

Se però, sia per l’individuazione dei bisogni che per il loro soddisfacimento si deve ricorrere ad ulteriori lingue, una o più, vacilla il risuonare ancestrale della maternità di un popolo con uno sfaldamento della sua identità corrosa da lingue divenute più forti e, culturalmente, diversamente orientate.

Invece che andare avanti nel cammino verso l’unità ci si sente più vulnerabili perché sempre più insicuri sul piano linguistico.

D’altro canto non si possono imparare tutte le lingue o imbastardire tutti i vocabolari europei. Una perdita di tempo enorme e un depauperamento lessicale sempre crescente.

Eppure la comunità europea ha una sua possibile ed originalissima soluzione: tutte le lingue dell’Europa unita hanno nelle radici di loro parole come nascosta una lingua più materna della propria per la storia che  afferisce e per la vitalità che evidenzia: la lingua latina.

Si tratta di mettere in movimento un lavoro linguistico/storiografico affiancato da una programmazione didattica che permetta un piano per darsi, con il latino, una lingua materna universalmente europea che, camminando con esse fin dai primi anni di vita, doni pari dignità a tutte le lingue materne autoctone.

Un progetto del genere, con tutte le ricchezze semantiche che porterebbe in superficie, porrebbe un freno al dissolvimento lessicale in atto e avvierebbe un cammino di autostima delle proprie capacità comunicative. E la retorica riacquisterebbe sostanza per la profondità che la parola usata al posto e al momento giusto esalta il dialogo comunicativo.

Rappresenterebbe comunque il più grande e radicato movimento di giustizia che la Comunità Europea possa esprimere.

Conclusione della premessa

Queste pagine sono esemplificative dello spirito e della direzione del nostro lavoro che è essenzialmente orientato alla formazione e all’autoformazione della cittadinanza europea in noi e attorno a noi. Su tanti altri argomenti potevamo porre attenzione in questa premessa. Lo faremo insieme lungo il cammino della vita associativa.

Sentiamo però necessario porre un serio invito ad approfondire il rapporto tra le popolazioni europee e l’ambiente lungo i secoli. Di fronte allo sperpero attuale dei suoli occorre mettere in atto una metanoia necessaria a ridare forza e linguaggio al paesaggio e libertà di espressione alla terra imprigionata dalla téchne sovrabbondante che relativizza il soggetto umano divenuto sempre più ombra di umanità.

Il tempo è breve e l’oggi venga visto come giudizio ultimo.

E’ da questa urgenza che sorge l’associazione Scuola di Memoria Storica Europea su impulso e patrocinio  de Il Segno dei Gabrielli editori.

La sede viene stabilita in Via Cengia 67, 37029 San Pietro in Cariano.

La partecipazione all’associazione avviene per cooptazione e alla Scuola possono aderire anche enti pubblici e privati.

Compito dell’associazione è quella di realizzare una rete di Scuole di memoria storica europea che abiliti ogni cittadina/o a ricomprendere la propria vita e il proprio lavorare alla luce del comune cammino storico europeo.